ACTA BENEDICTI PP. XVI

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 werden und nicht zu viele einseitige Polemiken hervorzurufen. Ich würde

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 Acta Benedicti Pp. XVI 711

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 Diarium Romanae Curiae 715

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 Diarium Romanae Curiae 717

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Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale632

nichelli, ai Vescovi della Metropolia, delle Marche e a quelli convenuti nume-

rosi da ogni parte del Paese. Insieme con loro, saluto i sacerdoti, i diaconi, i

consacrati e le consacrate, e i fedeli laici, fra i quali vedo molte famiglie e

molti giovani. La mia gratitudine va anche alle Autorità civili e militari e a

quanti, a vario titolo, hanno contribuito al buon esito di questo evento.

« Questa parola è dura! Chi può ascoltarla? ».1 Davanti al discorso di Gesù

sul pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la reazione dei discepoli, molti

dei quali abbandonarono Gesù, non è molto lontana dalle nostre resistenze

davanti al dono totale che Egli fa di se stesso. Perché accogliere veramente

questo dono vuol dire perdere se stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare,

fino a vivere di Lui, come ci ha ricordato l'apostolo Paolo nella seconda

Lettura: « Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo

per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore ».2

« Questa parola è dura! »; è dura perché spesso confondiamo la libertà con

l'assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da soli, senza Dio, visto

come un limite alla libertà. È questa un'illusione che non tarda a volgersi in

delusione, generando inquietudine e paura e portando, paradossalmente, a

rimpiangere le catene del passato: « Fossimo morti per mano del Signore nella

terra d'Egitto... » - dicevano gli ebrei nel deserto,3 come abbiamo ascoltato.

In realtà, solo nell'apertura a Dio, nell'accoglienza del suo dono, diventiamo

veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigura il volto del-

l'uomo e capaci di servire al vero bene dei fratelli.

« Questa parola è dura! »; è dura perché l'uomo cade spesso nell'illusione di

poter « trasformare le pietre in pane ». Dopo aver messo da parte Dio, o averlo

tollerato come una scelta privata che non deve interferire con la vita

pubblica, certe ideologie hanno puntato a organizzare la società con la

forza del potere e dell'economia. La storia ci dimostra, drammaticamente,

come l'obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace

prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli

uomini pietre al posto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è « frutto del

lavoro dell'uomo », e in questa verità è racchiusa tutta la responsabilità

affidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità; ma il pane è anche, e

prima ancora, « frutto della terra », che riceve dall'alto sole e pioggia: è

1 Gv 6, 60. 2 Rm 14, 8. 3 Es 16, 3.