ACTA BENEDICTI PP. XVI

 Kyaikmayaw, Chaungson, Paung, Beelin et Thaton. Novae ecclesialis com-

 Acta Benedicti Pp. XVI 259

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale260

 Acta Benedicti Pp. XVI 261

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale262

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 VIII

 a separação entre irmãos pertencentes à mesma nação, por causa de ideolo-

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 Acta Benedicti Pp. XVI 319

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 Acta Benedicti Pp. XVI 339

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale340

 Congregatio pro Episcopis 341

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale342

 Diarium Romanae Curiae 343

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale344

Acta Benedicti Pp. XVI 275

accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per

Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi

semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radi-

cale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi? Certa-

mente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo

sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e

saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo

aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di

gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non

dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consa-

pevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa

che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche

di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle

strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente eccle-

siale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra

società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna

tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se

qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il

diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e

riserbo.

Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa

lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare

e commentare il brano di Gal 5, 13-15. Ho notato con sorpresa l'immediatezza

con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: « Che la libertà non

divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate

a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un

solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e

divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni

gli altri! ». Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una

delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi

aspetti può essere anche cosı̀. Ma purtroppo questo «mordere e divorare »

esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpre-

tata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati?

Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare

sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo

imparare la priorità suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel

Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fidu-

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