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popolo romano. Saluto il Cardinale Vicario, il Rabbino Capo, il Presidente
dell'Associazione, il Commissario Generale, il Direttore del Mausoleo e, in
modo speciale, i familiari delle vittime, come pure tutti i presenti.
« Credo in Dio e nell'Italia / credo nella risurrezione / dei martiri e degli
eroi / credo nella rinascita / della patria e nella / libertà del popolo ». Queste
parole sono state incise sulla parete di una cella di tortura, in Via Tasso, a
Roma, durante l'occupazione nazista. Sono il testamento di una persona
ignota, che in quella cella fu imprigionata, e dimostrano che lo spirito umano
rimane libero anche nelle condizioni più dure. « Credo in Dio e nell'Italia »:
questa espressione mi ha colpito anche perché quest'anno ricorre il 150º
anniversario dell'unità d'Italia, ma soprattutto perché afferma il primato
della fede, dalla quale attingere la fiducia e la speranza per l'Italia e per il
suo futuro. Ciò che qui è avvenuto il 24 marzo 1944 è offesa gravissima a Dio,
perché è la violenza deliberata dell'uomo sull'uomo. È l'effetto più esecrabile
della guerra, di ogni guerra, mentre Dio è vita, pace, comunione.
Come i miei Predecessori, sono venuto qui a pregare e a rinnovare la
memoria. Sono venuto ad invocare la divina Misericordia, che sola può col-
mare i vuoti, le voragini aperte dagli uomini quando, spinti dalla cieca vio-
lenza, rinnegano la propria dignità di figli di Dio e fratelli tra loro. Anch'io,
come Vescovo di Roma, città consacrata dal sangue dei martiri del Vangelo
dell'Amore, vengo a rendere omaggio a questi fratelli, uccisi a poca distanza
dalle antiche catacombe.
« Credo in Dio e nell'Italia ». In quel testamento inciso in un luogo di
violenza e di morte, il legame tra la fede e l'amore della patria appare in
tutta la sua purezza, senza alcuna retorica. Chi ha scritto quelle parole l'ha
fatto solo per intima convinzione, come estrema testimonianza alla verità
creduta, che rende regale l'animo umano anche nell'estremo abbassamento.
Ogni uomo è chiamato a realizzare in questo modo la propria dignità: testi-
moniando quella verità che riconosce con la propria coscienza.
Un'altra testimonianza mi ha colpito, e questa fu ritrovata proprio nelle
Fosse Ardeatine. Un foglio di carta su cui un caduto aveva scritto: « Dio mio
grande Padre, noi ti preghiamo affinché tu possa proteggere gli ebrei dalle
barbare persecuzioni. 1 Pater noster, 10 Ave Maria, 1 Gloria Patri ». In quel
momento cosı̀ tragico, cosı̀ disumano, nel cuore di quella persona c'era l'in-
vocazione più alta: « Dio mio grande Padre ». Padre di tutti! Come sulle labbra
di Gesù, morente sulla croce: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito ».
In quel nome, « Padre », c'è la garanzia sicura della speranza; la possibilità di