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dono per l'umanità: dobbiamo perciò far sı̀ che i vantaggi che esse offrono
e diventiamo più plenamente umani. Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati
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divisione tra i cristiani. Ora, alla luce di questa Parola di Dio che i nostri
fratelli coreani hanno scelto e proposto a tutti, emerge una verità plena di
speranza: Dio promette al suo popolo una nuova unità, che deve essere segno
e strumento di riconciliazione e di pace anche sul piano storico, per tutte le
nazioni. L'unità che Dio dona alla sua Chiesa, e per la quale noi preghiamo, è
naturalmente la comunione in senso spirituale, nella fede e nella carità; ma
noi sappiamo che questa unità in Cristo è fermento di fraternità anche sul
piano sociale, nei rapporti tra le nazioni e per l'intera famiglia umana. È il
lievito del Regno di Dio che fa crescere tutta la pasta.6 In questo senso, la
preghiera che eleviamo in questi giorni, riferendoci alla profezia di Ezechiele,
si è fatta anche intercessione per le diverse situazioni di conflitto che al
presente affliggono l'umanità. Là dove le parole umane diventano impotenti,
perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica
della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è possibile, e che
dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace. Perciò la nostra
preghiera per l'unità e per la pace chiede sempre di essere comprovata da
gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani. Penso ancora alla Terra
Santa: quanto è importante che i fedeli che vivono là, come pure i pellegrini
che vi si recano, offrano a tutti la testimonianza che la diversità dei riti e delle
tradizioni non dovrebbe costituire un ostacolo al mutuo rispetto e alla carità
fraterna. Nelle diversità legittime di tradizioni diverse dobbiamo cercare
l'unità nella fede, nel nostro « sı̀ » fondamentale a Cristo e alla sua unica
Chiesa. E cosı̀ le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ric-
chezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune.
Vorrei concludere questa mia riflessione facendo riferimento ad un avve-
nimento che i più anziani tra noi certamente non dimenticano. Il 25 gennaio
del 1959, esattamente cinquant'anni or sono, il beato Papa Giovanni XXIII
manifestò per la prima volta in questo luogo la sua volontà di convocare « un
Concilio ecumenico per la Chiesa universale ».7 Fece questo annuncio ai Padri
Cardinali, nella Sala capitolare del Monastero di San Paolo, dopo aver cele-
brato la Messa solenne nella Basilica. Da quella provvida decisione, suggerita
al mio venerato Predecessore, secondo la sua ferma convinzione, dallo Spirito
Santo, è derivato anche un fondamentale contributo all'ecumenismo, conden-
sato nel Decreto Unitatis redintegratio. In esso, tra l'altro, si legge: «Ecume-
nismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità
6 Cfr. Mt 13, 33. 7 AAS LI 1959, p. 68.