ACTA BENEDICTI PP. XVI

 professionem. Expleto praescripto curriculo, ordinationem suscepit sacerdo-

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 cezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, cosı̀, solo

 infatti che la Chiesa possa trarre ispirazione nelle sue scelte attingendo al suo

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 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale192

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 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale194

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 Congregatio pro Episcopis 201

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale202

 Congregatio pro Episcopis 203

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale204

 Diarium Romanae Curiae 205

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale206

 Diarium Romanae Curiae 207

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale208

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questa conversione, questa modalità nuova, questa originalità cristiana di essere

una comunione che propone efficacemente la novità della esperienza cristiana.

È la grande questione che ogni sacerdote che è responsabile per altri si

pone ogni giorno. Anche per se stesso naturalmente. È vero che nel Nove-

cento c'era la tendenza a una devozione individualistica, per salvare soprat-

tutto la propria anima e creare dei meriti anche calcolabili, che si poteva in

certe liste anche indicare con numeri. E certamente tutto il movimento del

Vaticano II ha voluto superare questo individualismo.

Io non vorrei adesso giudicare queste generazioni passate, che a modo loro

hanno tuttavia cercato di servire cosı̀ gli altri. Ma c'era il pericolo che

soprattutto si volesse salvare la propria anima, al quale seguiva un estrinse-

cismo della pietà che alla fine trovava la fede come un peso e non come una

liberazione. E certamente è volontà fondamentale della nuova pastorale in-

dicata dal Concilio Vaticano II di uscire da questa visione troppo ristretta del

cristianesimo e scoprire che io salvo la mia anima solo dandola, come ci ha

detto oggi nel vangelo il Signore; solo liberandomi da me, uscendo da me;

come Dio ha fatto nel Figlio uscito da se stesso Dio per salvare noi. E noi

entriamo in questo movimento del Figlio, cerchiamo di uscire da noi stessi

perché sappiamo dove arrivare. E non cadiamo nel vuoto, ma lasciamo noi

stessi, lasciandoci al Signore, uscendo, mettendoci a sua disposizione, come

vuole lui e non come pensiamo noi.

Questa è la vera obbedienza cristiana, che è la libertà: non come vorrei io,

con il mio progetto di vita per me, ma mettendomi a sua disposizione, perché

Egli disponga di me. E mettendomi nelle sue mani sono libero. Ma è un

grande salto che non è mai fatto definitivamente. Penso qui a sant'Agostino,

che tante volte ci ha detto questo. Inizialmente dopo la conversione pensava

di essere arrivato al vertice e di vivere nel paradiso della novità dell'essere

cristiano. Poi ha scoperto che il cammino difficoltoso della vita continuava,

benché da quel momento sempre nella luce di Dio, e che era necessario fare

ogni giorno di nuovo questo salto da se stesso; dare questo io perché sia morto

e rinnovato nel grande io di Cristo che è il nostro comune noi.

Ma direi che noi stessi dobbiamo proprio nella celebrazione dell'Eucaristia

- che è questo grande e profondo incontro con il Signore dove mi lascio

cadere nelle sue mani - esercitare questo passo grande. Quanto più noi stessi

lo impariamo possiamo anche esprimerlo agli altri e renderlo comprensibile,

accessibile ad altri. Solo andando con il Signore, lasciandoci nella comunione